Nuove tecnologie al servizio della salute

In quasi tre anni di servizio ho portato in pronto soccorso tanti casi “strani”, ma strano come quello dello scorso turno mai.

Arriviamo in pronto soccorso per portare un paziente; mentre lo spostiamo dalla barella al lettino vediamo un pò di confusione attorno a noi: un paziente si è allontanato spontaneamente dal pronto soccorso, senza firmare… Svanito, scappato, tornato a casa: la guardia e alcuni infermieri lo cercano nei paraggi, dopodiché segnano l’allontanamento volontario.

Il nostro turno è finito, si ritorna verso la sede pensando già alla pizza… Ma a due chilometri dalla meta suona il telefono 118: “Ciao, tornate indietro, la persona che si è allontanata dal PS ha telefonato che vuole tornarci”.

Imprecazioni varie, giriamo indietro l’ambulanza e si va in un agglomerato di condomini popolari, poco distante dal pronto soccorso.

In un cortile troviamo ad attenderci l’ex-paziente, insieme ad alcuni parenti, ancora in pantaloni della tuta, canottiera, ciabatte e ago della flebo in vena. Sta fumando una sigaretta, ed è solo l’ultima di molte a giudicare dall’odore.

“Faccio fatica a respirare” ci dice; noi, con un pò di sarcasmo, suggeriamo di iniziare a spegnere la sigaretta, poi lo facciamo salire per prendere i parametri. Siamo pronti a ripartire per il pronto soccorso, quand’ecco la perla della giornata: “Mi prendete anche le borse?”.

Ci giriamo per vedere che borse avesse preparato: una borsa della spesa con dentro un pigiama, più una seconda borsa contente… Un televisore!

Allibiti chiediamo “Ma sono tutte e due sue?”, “Sì”… Carichiamo tutto e partiamo. Il signore era “scappato” dal pronto soccorso per tornare a casa e portarsi dietro il televisore… Immagino che fosse indispensabile per respirare meglio!

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Giallo, rosso, nero

Se facessi una previsione dell’anno basata sui primi quattro turni del 2014, la situazione sarebbe abbastanza problematica in quanto come squadra abbiamo già avuto 2 codici rossi, che salgono a 4 se contassi anche il terzo membro della nostra squadra che ha fatto dei turni a parte (magari alcune realtà direbbero “solo?”, mentre per la nostra realtà è un “così tanti?”).

Un codice rosso è arrivato alle 2.30 di notte, e dormivo così profondamente che non ho sentito nemmeno il telefono (per fortuna non sono io la centralinista). Quella notte ho rischiato qualche osso ben due volte: scendendo le scale di corsa cercando di rivestirmi e con le stringhe degli scarponi slacciati (della serie “attenzione, non fatelo a casa”), e mentre caricavo tutto il materiale sulla barella e l’autista ha quasi inchiodato per un dosso non segnalato… Lì ho avuto davvero paura, ero in piedi (cosa che non dovrei fare, ma su un rosso cercavo di guadagnare tempo) e mi sono sentita scaraventare verso il vano guida, per fortuna ho avuto la prontezza di frenarmi con le mani al sedile di fronte e la cosa non ha avuto conseguenze.

Dicevamo… codice rosso in casa di riposo, edema polmonare. Il signore in effetti respira con molta fatica, vomito biliare, non è cosciente. Non c’è molto in effetti che noi possiamo fare nell’immediato se non caricare e dirigerci in giallo in ospedale, tenendolo monitorizzato tutto il tempo.

L’altro rosso l’abbiamo fatto una domenica pomeriggio, quando la nebbia ha deciso di scendere come un muro tutto attorno a noi. La chiamata ci manda in un paese vicino, non abbiamo molti dati, l’infermiere del 118 riferisce una chiamata concitata in cui si capisce “sta male, non respira e non parla”.

Andiamo più veloce che possiamo (nebbia permettendo), ma troviamo il passaggio a livello abbassato. Avvisando la centrale, allarghiamo il giro per evitarlo, e riusciamo ad arrivare al paese.

Per fortuna la situazione è meno grave del previsto: il signore non è in arresto cardiaco come si temeva, ma è una crisi ipoglicemica su paziente diabetico. Il problema più che altro è la “cornice” dell’intervento: la moglie infatti è agitatissima, non riusciamo a calmarla nonostante le nostre rassicurazioni, nella stanza accanto ha anche la mamma con l’Alzheimer da seguire. Temiamo quasi di dover portar via due persone anzichè una!

Sulla nostra ambulanza, per regolamento, non abbiamo l’apparecchio per misurare la glicemia, ed ancora più assurdo non ce l’ha neanche il paziente in casa, pur essendo diabetico. Non possiamo quindi stabilire se è ipo o iperglicemico: che si fa rischiamo di dargli dello zucchero, con il rischio che sia in iperglicemia e quindi peggiorare il tutto? Per fortuna arriva in soccorso l’auto-infermierizzata di un paese vicino, l’infermiere lotta contro le vene sottili dell’anziano, ma quando finalmente l’ago è dentro gli somministra 2 dosi di glucosio di fila. Già alla fine della seconda vediamo che nei suoi occhi torna un segnale di presenza attiva, alla fine del terzo ricomincia a parlare con lucidità con noi, dice di non ricordare nulla, poi inizia a ridere e a ringraziarci. Parla in dialetto, cerca di capire quello che è successo, cerchiamo di usare le parole più semplici possibili ed è tutto un “Davvero? Possibile? E perchè?”.

Il viaggio in pronto soccorso per degli esami di controllo è per fortuna leggero e divertente, il paziente è tornato completamente in sé e chiacchiera amabilmente con l’equipaggio.

Per fortuna ogni tanto i rossi non finiscono in neri.

Dall’altra parte della barricata

Il nuovo anno per me è iniziato con un ingresso in pronto soccorso…. e per una volta non per trasportare qualcuno, ma trasportando me stessa.

E’ successo che, lavorando in cucina, mi sia piantata la punta del coltello nella mano. Un bel taglio profondo, che per fortuna non ha leso tendini.

Avvolta la mano in un asciugamano, mi faccio portare in macchina (mi vergognerei a chiamare i miei colleghi, dovrei essere veramente in punto di morte!) al pronto soccorso cittadino: disinfettato, messo colla per ferite, prescritta una radiografia per verificare di non aver beccato l’osso o altro, e una bella puntura di antitetanica (ebbene sì, sono scoperta, è la volta buona che mi decido a rifare la vaccinazione). Tempo 15 minuti ero già tornata a casa con il mio bel cerottone (con un pò di sfottò degli infermieri del pronto soccorso, che ben mi conoscono).

Da quando sono volontario è la terza volta che mi “sforacchiano” la chiappa in pronto soccorso: la prima volta è stata un’attacco di sciatica dopo il turno di notte (avevo portato lo zaino di pronto soccorso su e giù per 5 piani di condominio, senza ascensore), la seconda volta nottata di vomito sempre mentre ero di turno, e questa è stata la terza volta… E spero sia anche l’ultima, quanto meno per il 2014!

Non so dove dormire

Ieri notte in turno, sera+notte, inizio alle 20 e smonto alle 6.30.

In alcuni comitati i volontari che svolgono servizi notturni stanno svegli tutta la notte, in altri c’è poco movimento quindi possono permettersi di dormire. Il nostro comitato ricade nel secondo caso: alcune volte stiamo in giro tutta la notte e il letto neanche lo vediamo, ma spesso riusciamo a dormire qualche ora.

Sono andata a letto a mezzanotte, appena la sede si è svuotata dai volontari di passaggio, ma all’1 il suono del telefono del 118 mi sveglia. Bisogna andare in stazione, c’è un paziente psichiatrico, la scheda lo contrassegna come “noto” ma il nome non ci dice niente. La scheda indica anche “allertato 112”: iniziamo a pensare a una persona in stato di agitazione, magari ubriaca e violenta.

Arriviamo sul posto, prestiamo molta attenzione, ma vediamo solamente un uomo sul marciapiede che ferma l’ambulanza con un gesto: si presenta e ci dice che abita in un paese lì vicino, ha perso l’ultimo treno della notte e non ha più i genitori.

Capiamo subito che il nostro intervento, in ambito sanitario, non è richiesto: tranne il fiato alcolico questa persona ha bisogno solamente un posto dove passare la notte (la sala di attesa della stazione di notte è chiusa) e di parlare un pò.

La centrale conferma: è una persona nota, a quanto sembra succede spesso che perda il treno, ci consigliano di portarlo in pronto soccorso per fargli passare la notte.

Durante il viaggio emergono tutte le sue difficoltà: ha 50 anni, ha perso i genitori 4 anni prima, ci chiede se in ospedale ci sono delle donne anziane da conoscere “e poi chissà…”. Ci stupisce quando ci dice che ha fatto per 20 anni il volontario in una croce privata della sua città, e in pronto soccorso l’infermiere di turno ce lo conferma. Sono quelle situazioni in cui ci si chiede come è possibile ridursi così, e allo stesso tempo chi potrebbe fare cosa per aiutarlo, per non far ulteriormente peggiorare la sua situazione.

Non è il primo caso di “taxi” che facciamo, purtroppo il bacino di persone con disagio dovuto ad alcolismo, tossicodipendenza o solitudine che chiamano l’ambulanza sperando chi in un miracolo, chi semplicemente in un passaggio in pronto soccorso dove poter parlare con qualcuno o passare la nottata sono in aumento. Siamo in difficoltà anche noi che ci limitiamo ad un mero trasporto, non potendo andare ad agire oltre alla nostra sfera se non scambiare con loro qualche parola di incoraggiamento e consigliare loro a chi chiedere aiuto… ma molto spesso la risposta ricevuta è “Già fatto ma non mi aiutano”, “Mi stanno già aiutando”, “Non voglio nessun aiuto”.

Il turno si conclude con una telefonata alle 6 del mattino, sulla linea non urgente: un cittadino ci segnala che una persona è tutta la notte che parla con un’automobile sotto casa, aprendo e chiudendo gli specchietti e dicendo loro che sono dei maleducati. Ci chiede cosa fare… E cosa vuoi rispondere? Noi non lo sappiamo proprio, neanche questa volta…