Rianimare

In questo blog ho sempre parlato di viaggio 118, ma fare il volontario in ambulanza comprende anche un’altra categoria di viaggi: sono i cosiddetti “secondari”, ovvero viaggi che non dipendono dal 118 e che (in teoria, come tra poco vedrete) non prevedono situazioni di emergenza/urgenza. Questi viaggi sono ad esempio dimissioni da ospedale a casa privata, trasferimenti tra strutture ospedaliere, trasporti (sacche di sangue, esami di laboratorio), accompagnamenti per visite, ecc… In questa categoria rientrano inoltre le “rianimazioni”, ovvero mettere a disposizione l’ambulanza e l’autista (a volte anche 1 barelliere, a seconda dell’ospedale), caricare oltre al paziente un medico rianimatore e un infermiere e accompagnare tutti presso una rianimazione, una sala tac, un reparto specializzato. Le rianimazioni possono essere richieste “all’improvviso” (un paziente si aggrava e deve essere trasferito urgentemente) oppure “prenotate” (il tal giorno un paziente deve essere operato, quindi lo si trasferisce accompagnato dal rianimatore).

Perchè questo cappello iniziale? Perchè ogni tanto capita anche a me di non effettuare un servizio come 118 ma come barelliere di viaggi secondari, e poco tempo fa mi è capitata una rianimazione diversa dal solito.

Veniamo chiamati da un reparto dell’ospedale cittadino per una rianimazione verso l’unità coronarica. Arrivati in reparto aspettiamo qualche minuto l’arrivo del rianimatore, nel frattempo il medico del reparto osserva piuttosto preoccupato le condizioni del paziente. Arrivato il rianimatore e l’infermiere, iniziamo a trasferire il paziente sulla barella. Disponiamo il telo, ci facciamo aiutare e spostiamo il paziente dal letto alla barella. Questione di pochi secondi e… il paziente va in arresto!

E’ la prima volta che mi va in arresto un paziente durante una rianimazione: ho portato pazienti messi più o meno bene, reduci da interventi o necessitanti di uno, ma mai in condizioni così critiche. Ammetto di essere rimasta un attimo spaesata, trovarmi in reparto di ospedale senza la mia dotazione standard dell’ambulanza, senza la disposizione che conosco a menadito dei dispositivi sul mezzo, senza il mio solito equipaggio… Insomma, non me lo aspettavo proprio.

Dopo un attimo di smarrimento il rianimatore assegna i ruoli: viene alzata la barella, l’infermiera prepara il materiale per l’intubazione e attacca il monitor, il mio collega sale su una sedia e inizia subito il massaggio cardiaco, io attacco l’ossigeno e mi metto a disposizione del team. Nella confusione generale l’infermiera mi chiede di aiutarla passandole delle siringhe e preparando il gel per le piastre del defibrillatore.

E’ la prima volta che vedo usare un defibrillatore “manuale”, non il semi-automatico che usiamo a bordo dell’ambulanza. Messo il gel, calibrata la potenza, il medico allontana dal paziente, posiziona le piastre dul torace, non dice “libera” ma un meno spettacolare “state tutti lontani” e scarica. Le braccia e le gambe del paziente si alzano in aria e ricadono, la schiena si inarca. Guarda il monitor, si continua a massaggiare e a somministrare farmaci. Dopo poco nuova scossa: adesso il monitor è abbastanza soddisfacente, grazie all’intubazione la saturazione è salita, il polso arriva a 130 battiti. Il paziente rimane ovviamente incosciente.

Chiudiamo le chinghie della barella, copriamo il paziente e tutti i fili che escono, controlliamo di aver preso tutta l’attrezzatura e corriamo prima verso l’ambulanza, e poi di corsa con le sirene accese verso l’ospedale finale, non più in unità coronarica ma direttamente in rianimazione.

Passiamo davanti ai parenti che attendono l’arrivo del paziente, entriamo nel reparto e aiutiamo a trasferirlo sul letto, dove viene nuovamente monitorizzato: grazie al lavoro di squadra è arrivato incosciente ma ancora vivo, con i parametri tutto sommato soddisfacenti.

Riaccompagniamo il rianimatore e l’infermiera all’ospedale di partenza, sia loro che noi dobbiamo pulire e rifornire l’attrezzatura, il turno è ancora lungo.

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Non so dove dormire

Ieri notte in turno, sera+notte, inizio alle 20 e smonto alle 6.30.

In alcuni comitati i volontari che svolgono servizi notturni stanno svegli tutta la notte, in altri c’è poco movimento quindi possono permettersi di dormire. Il nostro comitato ricade nel secondo caso: alcune volte stiamo in giro tutta la notte e il letto neanche lo vediamo, ma spesso riusciamo a dormire qualche ora.

Sono andata a letto a mezzanotte, appena la sede si è svuotata dai volontari di passaggio, ma all’1 il suono del telefono del 118 mi sveglia. Bisogna andare in stazione, c’è un paziente psichiatrico, la scheda lo contrassegna come “noto” ma il nome non ci dice niente. La scheda indica anche “allertato 112”: iniziamo a pensare a una persona in stato di agitazione, magari ubriaca e violenta.

Arriviamo sul posto, prestiamo molta attenzione, ma vediamo solamente un uomo sul marciapiede che ferma l’ambulanza con un gesto: si presenta e ci dice che abita in un paese lì vicino, ha perso l’ultimo treno della notte e non ha più i genitori.

Capiamo subito che il nostro intervento, in ambito sanitario, non è richiesto: tranne il fiato alcolico questa persona ha bisogno solamente un posto dove passare la notte (la sala di attesa della stazione di notte è chiusa) e di parlare un pò.

La centrale conferma: è una persona nota, a quanto sembra succede spesso che perda il treno, ci consigliano di portarlo in pronto soccorso per fargli passare la notte.

Durante il viaggio emergono tutte le sue difficoltà: ha 50 anni, ha perso i genitori 4 anni prima, ci chiede se in ospedale ci sono delle donne anziane da conoscere “e poi chissà…”. Ci stupisce quando ci dice che ha fatto per 20 anni il volontario in una croce privata della sua città, e in pronto soccorso l’infermiere di turno ce lo conferma. Sono quelle situazioni in cui ci si chiede come è possibile ridursi così, e allo stesso tempo chi potrebbe fare cosa per aiutarlo, per non far ulteriormente peggiorare la sua situazione.

Non è il primo caso di “taxi” che facciamo, purtroppo il bacino di persone con disagio dovuto ad alcolismo, tossicodipendenza o solitudine che chiamano l’ambulanza sperando chi in un miracolo, chi semplicemente in un passaggio in pronto soccorso dove poter parlare con qualcuno o passare la nottata sono in aumento. Siamo in difficoltà anche noi che ci limitiamo ad un mero trasporto, non potendo andare ad agire oltre alla nostra sfera se non scambiare con loro qualche parola di incoraggiamento e consigliare loro a chi chiedere aiuto… ma molto spesso la risposta ricevuta è “Già fatto ma non mi aiutano”, “Mi stanno già aiutando”, “Non voglio nessun aiuto”.

Il turno si conclude con una telefonata alle 6 del mattino, sulla linea non urgente: un cittadino ci segnala che una persona è tutta la notte che parla con un’automobile sotto casa, aprendo e chiudendo gli specchietti e dicendo loro che sono dei maleducati. Ci chiede cosa fare… E cosa vuoi rispondere? Noi non lo sappiamo proprio, neanche questa volta…