Mancata visita

Domenica pomeriggio, mancano una manciata di minuti alla fine del turno, con l’equipaggio stiamo già pensando alla pizza per cena quando suona l’allame del 118: c’è da uscire, il turno entrante non è ancora arrivato.

Mentre raggiungiamo l’ambulanza leggiamo la scheda: dolori addominali… 16 anni. “Vabbè, il solito mal di pancia per il ciclo e chiamano l’ambulanza”. Peccato che la riga dopo dica “Gravidanza-Parto, a termine”.

Durante il viaggio fino al paese ripassiamo le nozioni del corso: una gravidanza a termine capita una, due volte all’anno ad esagerare… e non nascondo che, pur avendo un certo timore, quasi tutti gli equipaggi sperano che la cicogna faccia visita alla propria ambulanza!

Arriviamo sul posto, casa al pian terreno, nel cortile ci sono altre due o tre donne incinte: la ragazza ci aspetta sdraiata su un letto, non è italiana ma parla un ottimo italiano, sembra nata qui da noi. “Sorprendentemente” per le nostre esperienze passate, la ragazza ci fornisce un quadernone con tutti gli esami del sangue, le ecografie e i controllo fatti in gravidanza. Dice che il termine è già passato da 5 giorni, oggi ha perso un pochino di sangue (ma non si sono rotte le acque) e ha contrazioni ogni 2-3 minuti.

La carichiamo velocemente insieme alla madre e andiamo verso l’ospedale; anche se il nostro turno è già terminato, non richiediamo il cambio: con delle contrazioni così ravvicinate, la cicogna potrebbe davvero arrivare!

Purtroppo già dai primi km ci rendiamo conto che la ragazza ha un pò esagerato a darci le contrazioni: durante tutto il viaggio ne ha solo 3, a distanza di 10 minuti l’una dall’altra.

Arrivati in ospedale l’accompagniamo in barella direttamente in reparto, anche questa volta la cicogna ha deciso di rimandare la visita.

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Interventi 2.0

Domenica tardo pomeriggio, suona il telefono. Veniamo mandati dal 118 in una città vicina. Guardiamo la scheda: infortunio scontro di gioco. Mentalmente lo classifichiamo come “trauma su campo da calcio”. Leggiamo meglio la scheda per capire se aspettarci una frattura oppure no: nessuna indicazione in merito, unica nota “escoriazioni”. Vabbè, avrà fatto un bel capitombolo. Andiamo a vedere.

Arriviamo sul posto, si tratta di un campetto sportivo in sintetico. La partita è già finita, il campetto è vuoto, ci sono dei ragazzi nel cortile.

Scendiamo dal mezzo, ci avviciniamo ai ragazzi (tutti sui 30-40 anni, si vede che è stata una partitella tra amici e non di campionato) ma nessuno ci viene incontro. Ci guardiamo attorno per cercare la nostra “vittima”, ma non vediamo nessuno particolarmente sofferente. Ad un certo punto un ragazzo su una sedia attira la nostra intenzione: ben vestito, pantaloncini kaki, verrebbe da pensare ad uno spettatore che si è fatto male.

Siamo in 3 attorno a lui, e lo “radiografiamo” con gli occhi: dov’è che si è fatto male?

Lui: “Ecco, vedete?”

Noi: “Ad essere sinceri, no!”

Lui: “Il ginocchio, ha fatto crac”

A questo punto scoppiamo a ridere, e gli spieghiamo il fraintendimento: dalla scheda ci aspettavamo qualche ferita, delle abrasioni, insomma qualche segno… E invece il ginocchio è perfettamente normale, neanche un gonfiore, insomma non sembra neanche un calciatore infortunato!

Anche il ragazzo sta alla battuta, racconta di essere uscito con le proprie gambe dal campo, ma siccome l’anno precedente ha rotto il crociato e il dolore non era così forte tanto che è passato 1 giorno prima che si recasse in ospedale, questa volta non ha voluto ripetere l’errore e ha chiamato “quasi subito” l’ambulanza… tempo di fare la doccia e rendersi presentabile (cosa che le infermiere in pronto soccorso hanno apprezzato tantissimo!).

Ad occhio ipotizziamo una distorsione, applichiamo ghiaccio, lo mettiamo su barella ed immobilizziamo il ginocchio (un pò tardivamente forse, viste tutte le attività che nel frattempo il ragazzo ha fatto). Nel frattempo gli amici “sfottono” amichevolmente il ragazzo, rimanere seri è un pò difficile perchè le battute che fanno sono veramente spiritose: “Dai che domenica a S. Pietro fanno santo anche te”, “Diciamo a don Pierino di portarti in processione”, “Se muori la tua morosa la consolo io”, “Su quel lettino ti manca solo l’orsacchiotto e sei a posto”.

Dribblando gli amici riusciamo a caricare. Durante il viaggio il ragazzo chiacchiera e gioca con il cellulare, quando ad un certo punto dice “Guardate cosa hanno fatto!”, e ci mostra sul suo profilo Facebook una foto fatta dai ragazzi al campo di lui mentre sta per essere caricato in ambulanza.

“Ahahah che stupidi… Però in sta foto sembra che stia male dai, la gente poi si preoccupa… Ragazzi possiamo fare una foto assieme che sorrido? Così stanno tranquilli… Oh, giuro che non la posto su Facebook!”

100 di questi anni

Inizio turno, siamo chiamati in casa di riposo per un’ernia inguinale che gli infermieri non riescono a far rientrare, codice verde.

Carichiamo lo zaino sulla barella, percorriamo diversi corridoi mentre l’infermiere ci informa che la paziente ha ben 102 anni, arriviamo alal camera… e la nonnina non c’è! Dov’è finita? “E’ in bagno a fare pipì e a prepararsi”.

Aspettiamo qualche minuti, convinti di vedercela arrivare in sedia a rotelle… E invece dal bagno spunta una donna piccola piccola, magra, ben vestita, che con un salto “alla Fosbury” risale velocemente sul letto e ci fa “Oh, sono arrivati i dottori, prego visitatemi pure”.

Rimaniamo abbastanza interdetti, ma ha davvero 102 anni questa donna?

Le chiediamo di sistemarsi sulla barella, e lei tutta sorridente “Sì sì certo… ma come siete belli… guarda quanti capelli ha quel ragazzo, che invidia… vengo subito… ma come è comoda questo lettino” e così via.

Pressione perfetta, saturazione meglio di un adolescente, l’unico problema è l’ernia “Ma non fa tanto male sapete? Qui gli infermieri mi trattano benissimo, si mangia tanto ed è buono… Dite che c’è da operare? Allora facciamolo subito, io sono pronta eh!”.

Ridendo, cerchiamo di “tranquillizzare” (ma non è per niente spaventata) la signora: nessuno la opererà, soprattutto a 102 anni, farà solamente una visita in pronto soccorso.

Lei sorride, usciamo dalla casa di riposo, c’è il sole e lei inizia a cantare “O sole mio…”, poi ci confida che lei canta nel coro, e si diverte. Tutto il viaggio è un continuo chiacchierare: il lavoro che faceva, la vita in casa di riposo. E’ lucidissima, neanche un pò di depressione, dispensa pillole di allegria a tutti.

Penso che i casi in cui mi sia dispiaciuto lasciare un paziente in pronto soccorso e rientrare in sede si contino sulle dita di una mano, e questo è uno di questi. Arrivederci signora Angela, 100 di questi anni!

Gentiluomo ma non troppo

Per fortuna non tutti gli interventi che faccio sono tristi, anzi: alcuni riescono a strapparti un sorriso… Altri ancora ti fanno risalire sull’ambulanza con il mal di pancia per il troppo ridere.

L’altra sera stavamo rientrando in sede da un servizio precedente quando la centrale ci contatta: “Andate in via Tal del Tali. Probabilmente non servirà il trasporto: è un uomo piuttosto robusto che è scivolato a terra in casa e la badante non riesce a rialzarlo, serve una mano”.

Ogni tanto questo genere di servizi capitano, e si spera che le sei braccia dell’equipaggio (di cui quattro femminili) possano bastare all’intento.

Arriviamo sul posto, saliamo nell’appartamento e troviamo questo omone, 120kg dichiarati (ma mi sa che sono di più), seduto in pigiama a terra in cameretta. La badante è in effetti uno scricciolo, non ce l’avrebbe mai fatta. L’uomo non è dolorante, anzi: è di buon umore, scherza, ride, probabilmente ha bevuto anche qualche bicchiere di vino… la situazione è assolutamente tranquilla e distesa.

Un collega lo prende sotto un’ascella, l’altro sotto l’altra, io mi metto di fronte tenendogli entrambe le mani e bloccando i suoi piedi tra i miei piedi: 1,2,3… E l’uomo torna in piedi, neanche tanta fatica da parte nostra.

L’uomo rifiuta il trasporto ovviamente, non è caduto, per terra c’è pure la moquette, si fa prendere la pressione giusto per fare un controllo.

Chiamiamo la centrale del 118 per confermare il non trasporto, il medico vuole parlare con il paziente… Ed esce una scenetta che ripaga di ore e ore di servizi:

– “Si… buonasera… No guardi non voglio venire in pronto soccorso, non mi sono fatto nulla… No, non sono caduto… Sono io che sono andato a terra… Sa, oggi ho litigato con la mia badante, e stasera per farmi perdonare ho voluto chiederle perdono in ginocchio. Il problema è che sono riuscito ad inginocchiarmi, ma non sono più riuscito a rialzarmi! E quindi ho dovuto far chiamare l’ambulanza, che figuraccia… Volevo fare l’ufficiale gentiluomo… E invece ho fatto il pirla gentiluomo!!!”.

Vi giuro, noi non sapevamo più come nascondere il riso. E anche il centralinista si è fatto una bella risata.

Giallo, rosso, nero

Se facessi una previsione dell’anno basata sui primi quattro turni del 2014, la situazione sarebbe abbastanza problematica in quanto come squadra abbiamo già avuto 2 codici rossi, che salgono a 4 se contassi anche il terzo membro della nostra squadra che ha fatto dei turni a parte (magari alcune realtà direbbero “solo?”, mentre per la nostra realtà è un “così tanti?”).

Un codice rosso è arrivato alle 2.30 di notte, e dormivo così profondamente che non ho sentito nemmeno il telefono (per fortuna non sono io la centralinista). Quella notte ho rischiato qualche osso ben due volte: scendendo le scale di corsa cercando di rivestirmi e con le stringhe degli scarponi slacciati (della serie “attenzione, non fatelo a casa”), e mentre caricavo tutto il materiale sulla barella e l’autista ha quasi inchiodato per un dosso non segnalato… Lì ho avuto davvero paura, ero in piedi (cosa che non dovrei fare, ma su un rosso cercavo di guadagnare tempo) e mi sono sentita scaraventare verso il vano guida, per fortuna ho avuto la prontezza di frenarmi con le mani al sedile di fronte e la cosa non ha avuto conseguenze.

Dicevamo… codice rosso in casa di riposo, edema polmonare. Il signore in effetti respira con molta fatica, vomito biliare, non è cosciente. Non c’è molto in effetti che noi possiamo fare nell’immediato se non caricare e dirigerci in giallo in ospedale, tenendolo monitorizzato tutto il tempo.

L’altro rosso l’abbiamo fatto una domenica pomeriggio, quando la nebbia ha deciso di scendere come un muro tutto attorno a noi. La chiamata ci manda in un paese vicino, non abbiamo molti dati, l’infermiere del 118 riferisce una chiamata concitata in cui si capisce “sta male, non respira e non parla”.

Andiamo più veloce che possiamo (nebbia permettendo), ma troviamo il passaggio a livello abbassato. Avvisando la centrale, allarghiamo il giro per evitarlo, e riusciamo ad arrivare al paese.

Per fortuna la situazione è meno grave del previsto: il signore non è in arresto cardiaco come si temeva, ma è una crisi ipoglicemica su paziente diabetico. Il problema più che altro è la “cornice” dell’intervento: la moglie infatti è agitatissima, non riusciamo a calmarla nonostante le nostre rassicurazioni, nella stanza accanto ha anche la mamma con l’Alzheimer da seguire. Temiamo quasi di dover portar via due persone anzichè una!

Sulla nostra ambulanza, per regolamento, non abbiamo l’apparecchio per misurare la glicemia, ed ancora più assurdo non ce l’ha neanche il paziente in casa, pur essendo diabetico. Non possiamo quindi stabilire se è ipo o iperglicemico: che si fa rischiamo di dargli dello zucchero, con il rischio che sia in iperglicemia e quindi peggiorare il tutto? Per fortuna arriva in soccorso l’auto-infermierizzata di un paese vicino, l’infermiere lotta contro le vene sottili dell’anziano, ma quando finalmente l’ago è dentro gli somministra 2 dosi di glucosio di fila. Già alla fine della seconda vediamo che nei suoi occhi torna un segnale di presenza attiva, alla fine del terzo ricomincia a parlare con lucidità con noi, dice di non ricordare nulla, poi inizia a ridere e a ringraziarci. Parla in dialetto, cerca di capire quello che è successo, cerchiamo di usare le parole più semplici possibili ed è tutto un “Davvero? Possibile? E perchè?”.

Il viaggio in pronto soccorso per degli esami di controllo è per fortuna leggero e divertente, il paziente è tornato completamente in sé e chiacchiera amabilmente con l’equipaggio.

Per fortuna ogni tanto i rossi non finiscono in neri.